Andrea Giuliano ha 35 anni, è fotoreporter e traduttore
freelance. Ha vissuto in Ungheria per 10 anni, conosce l’ungherese, l’inglese,
francese e parla anche un po’ di Danese e Spagnolo. Ha lavorato nel campo del
turismo, della cultura ed è un attivista per i diritti umani e lgbt.
Ha perso entrambi i genitori ma ricorda il suo primo coming
out fatto con la madre. Una sera, mentre è intenta a mangiare una zuppa le dice
che andrà a convivere con il suo “coinquilino” belga. Quando la madre accetta
felice, aggiunge: “Sono molto innamorato di lui”.
La mamma rimane scossa e Andrea rincara la dose sostenendo che il ragazzo sarà
tra poche ore a casa per aiutarlo con il trasloco a Budapest. Se inizialmente
non vuole il fidanzato nel suo appartamento e lo fa dormire in roulotte, appena
lo conosce cambia atteggiamento nei suoi confronti. Aiuta il figlio con il
trasloco, gli compra un tostapane e gli regala dei mobili.
La sua avventura ungherese inizia nel 2004, all’età di 24
anni circa, quando decide di partire per l’Erasmus rimanendo stregato da questo
paese. Ma la situazione politica del luogo cambia nel 2008, con l’avanzare
della politica di destra. Il suo attivismo lgbt diventare importante e
visibile. Omosessuale dichiarato, agnostico e apertamente antifascista sente il
bisogno di denunciare il bigottismo e l’ipocrisia ungherese attaccando la
Chiesa e i movimenti neofascisti esistenti per la loro omofobia. Nel 2014, partecipa
al Gay Pride vestito da prete, parodizzando un movimento di estrema destra e la
Chiesa Cattolica, esponendo un cartello dove al posto di una moto vi è un fallo
e chiamando il gruppo neofascista Nemzeti Érzelmű Motorosok (Motociclisti dal
Sentimento Nazionale) in Nemzeti Érzelmű Faszszopók (Succhiacazzi dal
Sentimento Nazionale).
Il suo intento è denunciare l’esistenza di marce contro il
Pride, il succedersi di eventi apertamente antisemiti, antigay e xenofobi, dove
nessuno viene punito per la violenze delle loro accuse. “Che cosa succederebbe se un “frocio” trattasse da bullo quelle
categorie che culturalmente, a livello legislativo, attaccano la comunità lgbt?” Il suo è un
“esperimento” chiaramente provocatorio volto a sottolineare un comportamento sociale violento che
ridicolizza gli altri. I bulli opprimono, ma cosa avviene quando sono loro gli
oppressi? Reagiscono nell’unico modo che conoscono: con la violenza.
La sua performance non passa inosservata: su di lui viene
messa una taglia di 10 mila dollari. Inizia ad essere perseguitato, seguito e
minacciato di morte dai gruppi estremisti. È costretto a cambiare lavoro,
residenza e casa più volte, arrivando addirittura a modificare il suo aspetto
fisico per non essere riconosciuto. Subisce inseguimenti e attacchi, stalking per
messaggi, sui social e per email. La sua vita diventa un incubo. Si rivolge
alla polizia locale in cerca di aiuto, ma l’omofobia del paese dilaga e invece
di essere protetto viene denigrato. Ricorda il giorno in cui, dopo il rilascio
della sua dichiarazione, un poliziotto dice: “Abbiamo finito di interrogarlo sto frocio!”.
La situazione non cambia: riceve aggressioni fisiche e viene
sottoposto ad un intervento di chirurgia per rimettersi a posto il naso e lo
zigomo sinistro che lo costringono a tornare in Italia e ad essere operato,
passando un lungo periodo di riabilitazione. Questo attacco legittima le
reazioni ancora più violente da parte delle frange estreme che hanno un
pretesto per continuare le aggressioni verbali nei suoi confronti. Vede la foto
del suo balcone e l’indirizzo di casa sui siti di gruppi nazisti, è seguito al
lavoro e tenuto sotto controllo.
Sono passati 3 anni dal 5 giugno del 2014. Ad oggi il
problema non è ancora risolto. Andrea rimane ancora perseguitato. Quando escono
interviste in Ungheria o iniziative contro l’omofobia, riceve ancora messaggi
minatori. Si rivolge anche alla polizia italiana ma le denuncie non servono.
Come se non bastasse, Andrea viene denunciato per
diffamazione dal politico neofascista Sándor Jeszenszky, ex membro di Jobbik
per aver infangato il nome della loro associazione e nel 2015 processato da un
tribunale ungherese. Il processo non viene vinto dalla destra, ma le persone
che hanno messo una taglia su di lui non vengono toccate, multate o accusate di
atti violenti “Nessuno ne parla” dice
Andrea.
Sono usciti diversi articoli in Italia, Ungheria, America,
Russia e sulla televisione di Aljazeera. Tra il 2014 e 2015 partecipa a diversi
programmi televisivi per raccontare la sua storia. Quando arriva ad un vicolo
cieco e vede la sua richiesta rifiutata dal procuratore generale insieme a TASZ
(Társaság a Szabadságjogokért -Unione Ungherese per le Libertà Civili) decide
di denunciare lo Stato ungherese e l’insieme delle persone e associazioni
coinvolte, portando il caso alla Cedu (Corte Europea dei Diritti Umani) a
Strasburgo. “È da un anno che sto
aspettando che la corte accetti la presentazione del mio caso per iniziare un
processo”.
Nel 2016 gira con TASZ un documentario chiamato “The Right to Provoke” (Il diritto di provocare) per narrare la sua storia.
Andrea al momento sente un profondo disagio al pensiero che
potrebbe volerci ancora molto tempo prima che la giustizia venga fatta. Ha
prove schiaccianti delle minacce di morte, di chi ha tentato di ucciderlo e
della taglia messa su di lui. Ha una documentazione estesa, ex parlamentari,
sindaci, europarlamentari. Una bomba mediatica che coinvolge molte persone
influenti!
Lo scopo è tenere alta l’attenzione sul suo caso, non solo
per denunciare i fatti ma per ricordare il suo attivismo e l’insabbiamento di
ciò che è successo. In Europa non esiste una legge unica contro l’omofobia che
punisca in modo efficace atti di omotransfobia e crimini di odio. “Ogni paese ha le sue leggi, ma è necessario
una legislazione comunitaria”.
Andrea non si sente un provocatore ma una persona che si avvale del diritto di esprimere la
propria opinione e criticare quelle che ritiene sbagliate. Non è accettabile
una società dove A può offendere B, ma B non può controbattere. C’è una
differenza tra opinion e crimine. L’incitamento all’odio è un crimine e
come tale deve essere trattato. Chi è minacciato di morte è una vittima. “Vorrei che la mia storia fosse usata come
esempio per imporre una legislazione europea che includa tutti i crimini di
odio a sfondo sessuale, razziale, religioso per fare in modo che questi eventi non
accadano più”.
Commenti
Posta un commento